Il Joker di Todd Philips è un inequivocabile successo al botteghino, che ad oggi ha guadagnato in totale 272 milioni di dollari in tutto il mondo, superando l’attesissimo Once Upon a Time In Hollywood, nono film di Quentin Tarantino.
Viene da chiedersi cosa faccia breccia in un pubblico tanto vasto, che valica chiaramente i confini dei cinecomic addicted, e ha messo d’accordo anche buona parte della critica. Si può senza troppi sforzi individuare un centro di gravità chiamato Joaquin Phoenix, già famoso per altre indimenticate interpretazioni, che è riuscito a regalare al più famoso villain di Batman un universo di pensieri, contrasti interiori, disagi psicologici e violenze quasi legittime, che fanno di questo Joker un inedito, se è possibile, mai così retrospettivamente raccontato.
C’è voluto un coraggioso lavoro di scoperta e trasformazione su sé stesso e sul personaggio che ha costretto non solo Phoenix a perdere 25 kg per conferire a Joker il suo aspetto rachitico e le movenze meccaniche, ma anche a delle vere e proprie crisi sul set.
In un’intervista sul New York Times, Todd Philips ha dichiarato in proposito:
“Nel mezzo della scena se ne andava e usciva. E i poveri attori al suo fianco pensavano che era colpa loro. Ma non era così, è sempre stato lui, semplicemente non sentiva il personaggio”
E che il loro film sia stato un viaggio esplorativo, lo hanno ribadito sia Phoenix, sia Philips a più riprese:
“Quando abbiamo concepito Joker, sapevamo soltanto che volevamo mettere in atto un approccio molto diverso, sia al genere del cinecomic che al personaggio. Per questo è stato un film difficile. Da scrivere, girare e soprattutto far accettare alla Warner. Abbiamo insistito tanto per convincerli e a loro va riconosciuto il coraggio di rischiare”.
Il risultato è un’interpretazione straordinariamente intensa, che punta allo sconfinamento della “maschera sociale” per indagare intrusivamente il suo io, la sua origine e la sua natura e ad indossare nell’acme dell’azione ma anche dell’aderenza di sé stesso col mondo circostante, una nuova immagine che riflette un’identità ormai libera, quella di Joker. Un twist di rappresentazioni del personaggio, emerse e possibili da una società fin troppo classista e crudele, in cui Arthur Fleck, questo il vero nome di Joker, è spinto al margine, con violenza e derisione.
Ma è qui il vero elemento di novità del Joker di Philips (in realtà non così originale per chi già avesse visto Taxi Driver, a cui il regista ha dichiarato di essersi ispirato): in un mondo e in un cinema saturato di supereroi codificati, che si muovono sempre verso una pretesa di pace e giustizia, cui corrisponde uno stock altrettanto codificato di antagonisti malvagi, Joker non è solo un antieroe spietato, ma accoglie anche un angolo visuale in cui le sue azioni sono legittimate dai disagi che la società scatena negli emarginati e nei dimenticati come lui, diventando “quasi” un eroe, che accetta suo malgrado le malattie sociali e le combatte beffardamente con le sue stesse armi.
Il trucco da clown sbavato dal sangue e della violenza, la risata inquietante e nosense e la sua danza sulla scalinata di Brooklyn rimarranno iconiche non solo nell’interpretazione di questo nuovo Joker, ma di certo punteranno su Phoenix un occhio di bue alla prossima edizione degli Oscar, che si terrà il 9 febbraio. Ricordatevi di lui, quando e se farete le vostre puntate per la categoria di Miglior Attore Protagonista.